Dormono ovunque. Anche in piedi, appoggiati alle sbarre della metropolitana piena. Dormono tra una fermata e l’altra, tra Asakusa e Shimbashi anche venticinque minuti. Altrimenti gli otto minuti certificati sul tabellone (e rispettati) tra Ogikubo e Shin-Nakano. Dormono sul divano di Starbuck’s, in un caffè libreria di Roppongi. Tokyo è insospettabilmente narcolettica. Stanchezza da pendolari, sonni arretrati da super lavoro, il sonno come compagno ogni ora del giorno. Il sonno è un altro compagno di Haruki Murakami.

“Non hai mai letto Murakami? Non è possibile. Devi leggerlo, leggilo tutto”. Cristina ha studiato in Giappone, come altre persone che hanno contribuito a questo viaggio. Tempo fa parlò di Murakami senza riuscire a spiegare fino in fondo perché bisognava leggerlo. E’ impossibile spiegarlo. Disse solo: “Alla fine capirai che i giapponesi ci assomigliano in una cosa, hanno l’anima usurata”. Anima usurata, stanca. Murakami lo dice così: “Non lasciare che la stanchezza ti entri nel cuore”. Falla entrare ovunque, ossa, spalle, occhi, nervi. Ma non nel cuore. Per quanto stanchi siano i personaggi di Murakami, e lo sono oltre ogni limite di sopportazione, cercano di conservare intatto il loro cuore. Non sempre ci riescono.

C’è una ragazza in After Dark che dorme da due mesi. Una sera intorno alle sette si è alzata da tavola dicendo semplicemente: “Ora per un po’ voglio dormire”. E dorme da allora. Bellissima come le principesse sotto incantesimo che abbiamo nascoste nel nostro passato e nella nostra grande scatola nera. Ma qui siamo a Tokyo e nessun principe verrà a svegliarla. Questa è terra di onore e di Kabuki.

C’è una donna in Sonno, il racconto contenuto nella raccolta L’elefante scomparso che da diciassette giorni non riesce a dormire. Non c’è nulla che non funzioni nella sua vita. Un marito che non le fa mancare nulla, un figlio che cresce, un benessere economico raggiunto lavorando con la soddisfazioni di chi è partito dal nulla. Ma non dorme. Anzi, vive dormendo perché l’insonnia non lascia mai riposare. Entrambe attendono il risveglio. Come gli abitanti di Tokyo, stremati da un’altra giornata. Come tutti quelli che per paura dormono o stanno svegli, che per felicità dormono o stanno svegli, che aspettano di svegliarsi da un incubo, che vorrebbero risvegliarsi in un sogno, che vorrebbero addormentarsi come tanto tempo fa, quando tutto era più facile e non si erano ancora perduti tutti quei pezzi per strada. Pensieri notturni, fortuna che prima o poi viene l’alba e Aurora caccia via tutti gli abitanti del nostro infinito dormiveglia.

immagine-291Da After Dark: “A un certo punto però le sue piccole labbra si muovono impercettibilmente, come in risposta a uno stimolo. Un fremito brevissimo, un decimo di secondo, ma non è sfuggito a noi che siamo un puro punto di osservazione, al nostro sguardo acuto. Potrebbe essere un minimo movimento fetale di qualcosa che sta per nascere. Oppure l’avvisaglia di quel minimo movimento fetale. In ogni caso, qualcosa sta cercando di inviare un segnale da questa parte sgusciando fuori da una piccola fessura nella coscienza. Abbiamo questa netta impressione. Quell’avvisaglia, noi intendiamo seguirla attentamente, di nascosto, mentre prende corpo nella luce nuova del mattino impiegando tutto il tempo necessario, senza lasciaci distogliere da altri propositi. La notte finalmente è terminata. Prima che le tenebre tornino a visitarci, c’è ancora tempo”.