Da quarant’anni duri e puri. La band metallara che piace anche a chi non tollera il metallo. Santoni di un genere che hanno inventato negli anni ’70, i Judas Priest arrivano al traguardo del quarantesimo compleanno senza aver mai abbassato il volume. Insomma, rock estremo come quello che nel ’69, a Birmingham, crearono per primi traendo spunto dallo stile di Led Zeppelin, Deep Purple e Black Sabbath. “I nostri idoli erano quelli che ascoltavano i giovani a quei tempi: Robert Plant e Jimmy Page, Eric Clapton, Jimi Hendrix. Fu per distinguerci che decidemmo di suonare ancora più duri”, ricorda il frontman Rob Halford.

Classe 1951, figlio della working class, entrò a far parte dei Judas nel ’73, diventandone il leader e guadagnandosi il soprannome di “Metal god”. E’ a lui che si deve gran parte del successo della band, per via del suo carisma scenico, della sua strepitosa voce e di trovate geniali quanto bizzarre, come quella di entrare in scena cavalcando un’Harley Davidson. Dopo l’exploit raggiunto tra i ’70 e gli ’80, Halford ha lasciato i Judas all’inizio degli anni Novanta, intraprendendo una carriera solista tuttora in corso nonostante il rientro nel gruppo un paio di anni fa. Di nuovo con la formazione originale – composta da Glenn Tipton e K.K. Downing alle chitarre, Ian Hill al basso e Scott Travis alla batteria – i Judas hanno recentemente ristampato due grandi album della loro carriera (British steel e Painkiller) e toccato alcuni giorni fa l’Italia in tour.

E’ stato in questa circostanza che abbiamo incontrato e intervistato Halford.

Mr Halford, trent’anni e non sentirli. Siete sempre in pista come ai vecchi tempi?
Siamo sempre noi, quelli veri. Ci è capitata questa cosa incredibile della reunion e ne siamo felici. Perché naturalmente siamo orgogliosi di avere questo titolo di padri dell’heavy metal. Abbiamo cinque personalità diverse ma sul palco ci sentiamo tutti a nostro agio così,

con la pelle, le borchie, le moto. Il nostro marchio di fabbrica, lo abbiamo portato noi nel mondo del rock e non smetteremo adesso.

Nemmeno ora che ai vostri concerti vengono i figli dei vostri fan originali?
Siamo carichi di energia, più che mai. Ci divertiamo a scrivere e a fare tour, altrimenti lo diremmo: siamo al capolinea. Invece abbiamo ancora cinque o sei grandi album davanti a noi. Quanto al nostro pubblico, è una gran cosa che ci siano anche i ragazzi. Che poi non sono soltanto i figli dei nostri fan di allora. Molti sono arrivati da soli ai Judas Priest. Vuol dire che la strada è ancora giusta.

Da padre fondatore, ci dia la ricetta del puro heavy metal.
Non ci sono regole, è la musica a definirsi da sé. Certamente dev’essere potente, suonata a volume alto, aperta alla melodia, alle sperimentazioni e alla creatività.

Dove la trovate l’ispirazione, la voglia di migliorare tecnicamente dopo 40 anni di attività?
E’ una questione di chimica creativa. Insieme abbiamo qualcosa di speciale, è una miscela che funziona e ci fa trovare sempre uno spunto nuovo.

Il guitar hero è da sempre al centro dei concerti heavy. Chi è il migliore di sempre, secondo lei?
Ognuno ha il suo eroe e ogni chitarrista ha il suo tocco, per cui è sempre complicato stabilire chi è il numero uno della storia del rock. Per me il più importante è stato Jimi Hendrix, un gigante.

Dai padri ai figli: vedete eredi dei Judas Priest all’orizzonte?
Siamo attenti alle giovani band, la scena heavy è interessante. Però per arrivare alla nostra altezza devi avere una lunga storia, tanti album, sostenerne il peso. E poi, a dirla tutta, noi continueremo ancora per un bel po’. Per cui, no, non ci sono ancora gli eredi dei Judas Priest.