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“Each morning I get up I die a little. Can barely stand on my feet” (Ogni mattina mi alzo e mi sento morire un po’. Riesco a malapena a stare in piedi ) canta Freddie Mercury dalla radiosveglia.

Sono le 7 è ora di cominciare una nuova giornata.

Chissà cos’avrà pensato quando, undici anni dopo l’uscita di questo pezzo, Somebody to love, con questo inizio così “drammatico”, gli diagnosticarono l’Aids, la malattia che come un tarlo, ti rode dentro, ti lascia vivere scampoli di vita, ma flebili e caduchi come il volo di una foglia d’autunno…

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 Si trovo quindi quasi ad essere Cassandra di se stesso, a predirre la propria condizione, come Rino Gaetano, che in “La ballata di Renzo”, si rende profeta inconsapevole della propria morte, alimentando ancor di più la leggenda del suo nome.

E’ un medley di sensazioni, di pensieri, di ricordi, tutto ritmato dalla tracklist che la radio ha deciso di proporre quella mattina. “Mi è andata bene penso. Di solito capita sempre certa merda ultra-commerciale sulle radio di adesso, e invece questa mattina vengo svegliato da due mostri sacri della musica come questi.” Ma per quanto sia una giornata cominciata nel modo giusto sono sempre le sette di mattina ed ho un sonno boia.

Mi trascino in bagno come solo uno zombie dei film di Romero saprebbe fare, con un movimento più meccanico che conscio apro il rubinetto e mi appresto a centrare la bocca con lo spazzolino, che, quando hai ripreso conoscenza da pochi minuti, è un’azione tutt’altro che semplice.

Uscito dal bagno, e con qualche neurone in più all’attivo, un gesto istintivo: Pc, rapido giro su Facebook, controllino di posta e via. Una Tracklist per darmi la carica mentre mi preparo velocemente ad uscire.

E mentre Jimi Hendrix unisce la sua straordinaria abilità con la chitarra alla poesia di Bob Dylan in “All long the Watchtower” cerco di vestirmi alla buona, senza sforzarmi di trovare qualcosa di ricercato, o di particolarmente adatto, (“devo andare all’università, non ho mica la prima alla scala” penso tra me e me) anche perché ogni indecisione costa minuti preziosi, ed il treno non è certo disposto ad aspettarmi.

Scendo di sotto, ho i minuti davvero contati, ma da buon Italiano c’è un rito che alla mattina va rispettato liturgicamente: il caffè. Fortunatamente la tecnologia mi è venuta incontro e così grazie alle capsule, l’ultimo ritrovato, in 10 secondi il mio espresso è già nella tazzina, profumato e più cremoso che mai. Certo, non sarà la ricetta di Ciccirinella che sorseggiava il Don Raffaè cantato dall’immenso De Andrè, ma è veramente buono.

Un minuto di orologio serve per raccattare dai vari angoli della casa l’occorrente per uscire e, come tutti i giorni, mi preparo mentalmente ad arrabbiarmi. Di solito, se servono dieci cose, esse sono sistematicamente disposte in tutte le stanze di casa, così da farmi rimbalzare su e giù per le scale in preda a crisi isteriche, al grido incessante di: “Mammaaaaaaaaa, dove sono le chiavi/la borsa/il portafoglio???”

Distolgo un attimo lo sguardo e, come in una visione, tutto quello che mi serve per partire è già pronto sul tavolo, ordinato. Nel frattempo, il computer di sopra è ancora intento a riprodurre la playlist inserita, ed è il turno di Jim Morrison e di “Light my fire”.

Chiudo la porta mentre l’intro fa in tempo ad entrarmi in testa, ed io già so che impiegherò ore a togliermela dalla mente. Un secondo e mezzo dopo aver chiuso la porta mi guardo in mano ed esclamo: “Mi sono dimenticato il casco… che coglione!” E così riapro la porta, prendo il casco e faccio a tempo a beccare anche il ritornello, con Jim che dà il meglio di sé.

Come da copione il viaggio in scooter è all’insegna dell’ultima canzone ascoltata, che mi accompagna anche all’arrivo in stazione.

Mi salva l’abbonamento mensile dal perdere il treno, visto che faccio a malapena in tempo a parcheggiare che sento l’annuncio del treno in partenza. Mi lancio in una corsa degna di un centometrista e salgo in carrozza con un balzo simile a quello di Michael Jordan nel celebre logo della Nike. “Anche questa è fatta” penso tra me e me.

“Cavolo, è la terza botta di culo della giornata”. Per celebrare questa constatazione mi lancio in una squallida imitazione di James Brown nel suo “I feel Good” (mi sento bene). Anche se la voce non rende l’idea, la canzone è un perfetto ritratto di come mi sento oggi. Senza motivo mi metto le mani in tasca e, come per magia, vi trovo il mio microscopico lettore Mp3 che credevo ormai irrimediabilmente perso da più di un mese. Stento a credere a cotanta benevolenza da parte dell’Alea.

Continuo il mio vagabondare per il treno alla ricerca di qualche viso noto vicino al quale sedermi.

Becco un gruppetto di ragazze che ho imparato a conoscere in questo anno universitario, non sarebbero esattamente una prima scelta ma è sempre meglio che fare il viaggio da solo. Raggiante per l’incredibile concatenazione di colpi di fortuna appena avvenuta mi avvicino e cordialmente saluto e mi siedo. Le ragazze sono in tre, sono ragazze allegre, simpatiche, non esattamente tre filosofi esistenzialisti ma abbastanza evolute per intrattenere una conversazione.

Purtroppo al momento non sembrano molto ben disposte ad intavolare un dialogo su qualsivoglia argomento: una sta avidamente leggendo una rivista scandalistica di basso lignaggio, mentre due sono completamente immerse nell’ascolto dei loro iPod dai colori sgargianti. Mi decido allora ad ascoltare musica anch’io, ed estraggo il mio fedele mp3, pagato 8 euro qualche anno fa, confidando nella buona stella e nello shuffle, affinché mi facciano ascoltare qualcosa di speciale.

Poi però mi viene un’altra idea: perché non chiedere alle ragazze?  Con un movimento della mano richiamo l’attenzione della ragazza di fronte a me. “Cosa stai ascoltando?” gli chiedo, anche se lei probabilmente intuisce la mia domanda leggendo le mie labbra, visto il volume sostenuto al quale ascolta la musica.

“Somebody to Love” è la risposta. In cuor mio è un tripudio di gioia. Incredibile. Indescrivibile. Una giornata nata bene si sta trasformando in un vero e proprio capolavoro. Ancora inebetito dalla risposta azzardo un: “posso sentirla con te?” e ricevo una cuffietta. Mi preparo mentalmente ad ascoltare la voce intensa e passionale di Freddie Mercury quando, al contatto dell’auricolare con l’orecchio, avviene l’impensabile.

Al posto della più celestiale voce della storia mi ritrovo un ragazzino gracidante, e delle note sconosciute che mi fanno gettar via la cuffietta quasi d’istinto, come quando, dopo aver colto la mela più bella dall’albero ed averle dato un morso, si deve constatare con disgusto che la mela è marcia. “Scusa, ma, ehm, questa, mmm, che canzone sarebbe?” domando tra l’incredulo e lo stizzito. “Somebody to love di Justin Bieber” la risposta secca della mia amica. “Justin … chi?” “Di Somebody to love ne esiste una, ed è quella dei Queen” controbatto, visto che ormai mi sento ferito nell’animo. “Justin Bieber, è un nuovo cantante americano, ed ha fatto questa bellissima canzone”. La risposta mi lascia di stucco, ma prima di arrendermi decido di tentare anche con l’altra ragazza munita di iPod, magari avrà gusti musicali migliori.

Stesso copione: stavolta però la risposta è: “Sto ascoltando l’ultima canzone di David Guetta”

Nella mia mente comincio a cercare tra tutti i nomi che ho sentito negli anni, ma no, questo non mi pare proprio di averlo mai sentito. “Ma suona in un gruppo?” “Che genere è?” sono le mie domande, e già comincio a farmi dei film mentali (sarà un cantante Indie, un artista emergente, oppure una mia grave lacuna musicale?)

“E’ uno dei Dj più famosi del mondo” la risposta della ragazza, con un tono quasi sdegnato. “Come si fa a non conoscerlo? Ma non ascolti mai musica House?” tutte queste velenose domande mi lasciano basito. Sinceramente quando mi dicono House per associazione di idee penso prima ad una casa, e poi, marginalmente, a quel genere di “rumore”, perché mi rifiuto di considerarla musica. “Veramente No. Anzi mi fa schifo quella ‘musica’” rispondo con acidità tale da controbilanciare le sue affermazioni precedenti. La mia interlocutrice non si scompone, fa le spallucce e si rimette le cuffie.

“La merda capita eh” penso tra me e me. Non può andare sempre tutto a culo. Ecco la prima cosa storta della giornata. Sembrava troppo bella. “Ora mi prendono i 5 minuti”, sono davvero scosso da quello che mi è appena successo: “Esiste gente che preferisce quella robaccia elettronica al suono fantastico delle chitarre di Jimi o alla voce di Freddie? Ma questi stanno male”.

Sintetizzo il mio pensiero in queste poche parole ed estraggo il mio mp3 confidando in lui.

Lo accendo e per un attimo ho il terrore di trovarvi anch’io qualcosa di indesiderato, magari l’ultima creazione di qualche discoteca o l’ultimo talento nato dalla lungimiranza di qualche produttore musicale. Falso allarme. Appena acceso e ancora in memoria dall’ultima volta c’è il buon Ligabue che in pochi secondi mi dà una tremenda lezione di vita.

“Non è tempo per noi, e forse non lo sarà mai” eh si. Non volevo crederci, ma l’ultima diatriba musicale mi ha fatto ricredere. “In fondo però sono contento così” dico sommessamente tra me e me…. Meglio essere considerati fuorimoda che ascoltare quelle roba lì.

Nemmeno il tempo di finire di riflettere che l’annuncio della stazione di Perugia mi riporta alla realtà. In fondo questo viaggio è volato. E’ tutto merito della musica. “Da stamattina non faccio che pensare alle canzoni che per me sono importanti” concludo… “Se solo non fossi stato così pigro da non aver voluto imparare a suonare uno strumento” .

Tratto da:http://www.raccontioltre.it/7513/medley-di-una-giornata/