Se fosse il loro album fosse un vinile sarebbero note incise sul loro supporto ideale, naturale, predestinato. Perché la musica dei tre fratelli Kitty, Daisy & Lewis, ultimo fenomeno brit e rivelazione del 2009, ha tutto fuorché un’aura moderna. Anzi, sin dal primo brano del loro omonimo album d’esordio, A-Z of Kitty, Daisy & Lewis: The Roots Of Rock ‘n’ Roll (2007), pare di essere saliti su una macchina del tempo ed essere catapultati negli anni Cinquanta. Quelli di Elvis. Di Gene Vincent. O ancora più giù. Nei Quaranta di Louis Prima o Louis Jordan. Musica country rock folk blues uscita da un vecchio juke box. Suonata con strumenti che sembrano pescati da un vecchio rigattiere Far West. Banjo, lapsteel, ukulele, pianola, trombone, armonica. E la cosa curiosa è che nessuno dei tre fratelli supera i vent’anni. Kitty è una sedicenne con un corpo da donna. Lewis, diciotto anni, è un Cab Calloway in miniatura. Daisy, l’altra sorella, ha vent’anni e l’energia di un rocker scafato.

 

Arrivano da Kantish Town, Nord di Londra. E sono figli d’arte. Di Graeme Durham, un chitarrista blues proprietario di uno studio di registrazione, e di Ingrid Weiss, ex batterista delle Raincoats, band post punk di fine anni Settanta. Hanno respirato musica fin dall’infanzia. E spesso, quando si esibiscono dal vivo, a dar loro manforte sul palco ci sono anche mamma e papà. “Difficile dire quando abbiamo ascoltato per la prima volta della musica – spiegano –. Di sicuro però da quando eravamo bambini abbiamo avuto intorno strumenti musicali e vecchi 33 giri degli anni Cinquanta. Erano i nostri giochi. Così ci siamo detti: perché non mettere in piedi un gruppo e cantare vecchie canzoni? Potrebbe essere divertente”. E così è stato. I tre hanno formato il gruppo nel 2002 e da quel momento hanno suonato

senza darsi troppa pena se le loro canzoni stridevano con lo stile e i gusti da classifica. “La prima volta che ci hanno notato fu quando cantammo Folsom prison blues di Johnny Cash”, scherzano. “E’ vero, le mie sorelle avevano in camera il poster delle Spice Girls, ma l’unica musica che i nostri genitori ci facevano ascoltare non era neppure punk ma r&B e rock’n’roll”, aggiunge Lewis.

 

Con tanta passione Kitty, Daisy & Lewis sono andati avanti convinti della loro musica. E con l’aiuto dello studio e delle attrezzature rigorosamente vintage del loro quartier generale a Kentish, hanno dato alle stampe qualche mese fa il secondo album, Kitty, Daisy & Lewis, che in breve li ha lanciati alle stelle come un elastico. Tanto è stato l’interesse suscitato che i fratelli sono stati invitati a suonare al festival di Glanstonbury, al fianco di Razorlight e Mika. Recentemente si sono pure esibiti alla Royal Albert Hall e al Barbican Center di Londra. Niente male per tre ragazzini che ammettono di non aver mai ascoltato neppure Kurt Cobain e i Nirvana. Il segreto forse sta nell’irruente baldanza del loro swing. Quello che accompagna i dieci brani del disco, tra cui spiccano alcune cover in versione rockabilly di brani come Goin’ up the country dei Canned Heat al fianco di classici firmati Muddy Waters, Sonny Boy Williamson e Johnny Hartman. Il resto è tutto un occhieggiare agli anni di Bo bop a lula. Dalla grafica di copertina alle pettinature. Dai vestiti agli strumenti. “I ragazzi hanno fatto da soli. Né io né mio marito abbiamo mai spinto perché loro diventassero musicisti”. Destino. “Ci piace suonare per la gente, vedere il pubblico dei piccoli club sotto il palco impazzire per noi. Dare felicità con qualcosa di semplice come la musica in questo mondo che pare sempre più impazzito”. E se lo dicono dei quasi ventenni come Kitty, Daisy & Lewis, qualcosa vorrà pur dire.