Lo sceriffo digitale francese che piace anche all'Italia

A PARIGI hanno creato lo sceriffo digitale. Punirà chi scarica video, musica e giochi illegalmente. Il tam tam giovanile dice: “Résistance”, i socialisti vogliono portare la nuova legge all’esame di legittimità costituzionale, 44 deputati di maggioranza non l’hanno votata. Intanto però la legge che crea Hadopi, l’autorità di controllo e sanzione dei download selvaggi, è passata. Anche se non subito, entrerà in vigore, con un procedimento in tre passi: prima ammonizione del “reo” via email, poi una lettera raccomandata, infine disconnessione dalla rete.

Protestano i ragazzi che nei social network si scambiano istruzioni su modi, software e stratagemmi per mettere nel sacco i controlli. Ma per tempo la legge era stata criticata duramente da Jacques Attali che l’aveva definita: “inapplicabile e assurda (…) sono le aziende telefoniche, che sulla rete guadagnano, a dover remunerare la formazione”.

Se la Francia ribolle di protesta, la sua decisione di creare lo sceriffo “antipirati” è destinata a alimentare un conflitto fino nell’Unione. Dove appena pochi giorni fa il “pacchetto telecom”, cinque grandi direttive in discussione da mesi, è stato bloccato dall’approvazione dell'”emendamento 138″ in funzione “anti hadopi”: vi si stabilisce il principio che la connessione Internet è un diritto inalienabile della persona ad essere informata e ad esprimersi.

La battaglia dei download divide come poche l’opinione pubblica di ogni paese: da una parte autori, produttori, editori, grandi major. L’argomento è elementare: se a milioni si mettono a rubare, mancano i mezzi per produrre arte e intrattenimento. Dall’altra parte dello schieramento la diffusa abitudine, anche tra famiglie e “tranquilli cittadini”, di appropriarsi di film, musica e videogiochi.

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Chi argomenta in difesa degli “scaricatori” teme l’oggettiva difficoltà di “beccare” i responsabili senza violare pesantemente la privacy di tutti gli utenti Internet. O perlomeno quella dei membri di una stessa famiglia o dei dipendenti dell’azienda nella quale si venisse a trovare il “clandestino”. I software per farlo (tra questo il famigerato Deep Packet Inspection) esistono e non vanno per il sottile, come sostiene nel suo blog la ricercatrice specializzata britannica Monica Horten.

Non mancano polemiche e paure in Italia. Dove il governo Berlusconi ha istituito il “Comitato tecnico per la pirateria digitale e multimediale”, presieduto da Mauro Masi, col compito di mettere a punto nuove misure di legge. Il comitato, che non comprende rappresentanti dell’utenza, sta facendo una serie di audizioni con le associazioni di industriali di settore ed ha aperto un forum (http://antipirateria. governo. it/), senza “predeterminare” il testo finale. Ma al suo interno le simpatie per la legge francese non sono certo un mistero.

“Ma noi in Italia abbiamo già la legge per il diritto d’autore”, dice Guido Scorza, giurista e sua volta “militante” di diritti degli utenti digitali. Grazie a quella legge sono a processo due giovani bergamaschi che avevano organizzato il sito italiano di Pyrate Bay, l’organizzazione svedese di recente condannata a Stoccolma. Scorza ha un’idea: “Gli industriali non solo non pensano a un modello economico alternativo, ma soprattutto si sono stancati dei processi giusti, lunghi… il ‘fascinò della legge francese è che dall’indagine si passa dritti alla sanzione”. Un processo sommario. fonte repubblica.it