Vestite di tweed e vi piace sorseggiare un porto dopo cena mentre ascoltate un King Crimson circa metà anni Settanta? Amerete questo album come coloro che sono rimasti folgorati a sedici anni quando hanno sentito Reign In Blood e Ride The Lightning per la prima volta, hanno pochi centimetri quadrati di epidermide non tatuata e da allora ancora aspettano qualcosa di altrettanto fulminante. Affrettatevi, perché potete ascoltare in streaming Crack the Skye, l’ultimo album della massima band post/trans/ur/prog-metal in circolazione: il quartetto di Atlanta, Georgia, che risponde al nome di Mastodon (su MySpace).

Facendo finta che abbiano bisogno di presentazioni (tutte le date italiane del tour sono esaurite) e cercando di descriverli con la complessità immaginifica dei loro pezzi (quattro album che hanno realizzato il difficile compito di rendere appetibile a un pubblico mainstream del piombo prima fuso e poi solidificato nelle forme di qualcosa che assomiglia all’incrocio fra un’astronave e un enorme termitaio): i Mastodon sono la più formidabile band estrema di questi anni. Non potevano scegliere un nome più adatto. In loro nulla è piccolo: la tecnica, le ambizioni, la fantasia, l’intensità. Sono una band larger than life, un campo magnetico di energia polarizzata tra le personalità dei suoi membri più straordinari (e tormentati): Brann Dailor, stupefacente batterista che non sfigurerebbe in una electric band di Chick Corea e Brent Hinds, verosimile rappresentazione fisiognomica dell’uomo di Neandhertal con tanto di Gibson Flying V, che occasionalmente cerca di restare ucciso in risse con colleghi (un paio di anni fa è finito in ospedale dopo un litigio con il bassista dei System Of A Down, Shavo Odadjian e un altro gentleman).

 

Ma venendo alle primissime impressioni del disco si potrebbe definire il disco della maturità, la prima delle formule professionali, logore e abusate, che vengono in mente. Le composizioni sono, naturalmente, mastodontiche, come anche i temi. È il Black Album dei Mastodon, per intenderci con i metal kids che leggono, quello che come e più del precedente, ipertrofico, Black Mountain renderà il gruppo ancora di più quello che già è: i nuovi Metallica. C’è più coesione che in passato, più melodia, la voce è “cantata”. L’album è naturalmente “concept”, e il concetto non esattamente da reality show. E’ la storia di un bambino paralitico il cui unico modo di vedere il mondo è lasciare il corpo e bighellonare nell’aere. Una specie di Icaro che anziché bruciare le ali perde il contatto col mondo dei vivi e che per tornarvi si deve incarnare in Rasputin (questo permette lo sbizzarrirsi nell’iconografia russa e ortodossa).

La struttura narrativa è solida: in pezzi come Quintessence, Divinations e The Czar, le scene si susseguono come su un palcoscenico rendendo l’ascolto e l’esecuzione dei brani nell’ordine quasi obbligatoria.
Non mancano momenti di esaltazione assoluta, come nell’ultima suite di tredici minuti, The Last Baron, dove chitarre e batteria si lanciano in scorrerie che fanno pensare agli Yes di Close To The Edge. E in effetti, vicini al limite (delle loro possibilità), i Mastodon sono arrivati. Un disco da centellinare in cuffia, ma che si lascia capire prima del quattrocentesimo ascolto: quanto di più vicino il metal contemporaneo è arrivato alla maestà architettonica di un tempio Khmer. Maestà-don, appunto.