mike

Per cinquant’anni non c’è stato gioco a premi, che fosse radiofonico, televisivo, vissuto tra le pareti di casa, sulla spiaggia, a scuola, che non facesse andare al suo nome, Màich, detto così, a volte si sbagliava il cognome, aggiungendo la vocale u, Buongiorno, cosa che lo faceva imbestialire davvero. La sua biografia è pure quella un gioco a premi, un rischiatutto con lui unico vincitore: da staffetta tra gli alleati e i gruppi partigiani durante la guerra, a prigioniero della Gestapo e condannato alla fucilazione, salvato, prima di finire davanti al plotone, dai documenti americani che gli agenti tedeschi gli trovarono addosso, trasferito al carcere di San Vittore, deportato a Bolzano, quindi a Mauthausen, liberato con uno scambio di prigionieri.
Aveva vent’anni quando tornò a scoprire l’America, fu l’inizio di un’avventura strepitosa, dico della carriera in televisione, una marcia trionfale dovunque, comunque. Piaceva alle mamme e alle figlie, agli anziani e ai bambini, attraversava generazioni, riusciva a riunirle con quella sua mediocrità culturale e lessicale, illuminata ogni tanto dalle gaffe involontarie ma storiche, dinanzi alle quali restavano stupiti e divertiti tutti e lui su tutti, stranito però dallo stupore altrui non certo dal proprio errore, dalla frase ambigua, dall’accenno involontariamente malizioso se non volgare.
L’Italia delle bustarelle si innamorò delle buste, la Uno, la Due o la Tréééé, con la vocale, ultima, apertissima, alla lombarda. L’Italia scoprì le concorrenti poppute, i farmacisti gonzi, il controfagotto e le vallette, la Campagnoli portava abiti delle bambole, lunghi alla caviglia, la Ciuffini mostrò per prima le gambe, nudissime con minigonna; con l’una, Edy, e con l’altra, Sabina, Bongiorno faceva il padre, lo zio, il nonno, insomma il parente, mai il furbo gigolò, il viscidone che allunga la mano e serve ad allungare la carriera. Con i concorrenti andava liscio, deferente con i laureati, docenti, acculturati, sbrigativo con chi tentava la fortuna per sistemare la propria esistenza ordinaria.
Non spacciava lezioni di vita, non cercava frasi ad effetto, non ricorreva al latino, come alcuni colleghi suoi di grande ingaggio, non esibiva letture di libri, non citava autori e filosofi, saggisti e letterati, il suo dizionario, comune, semplice, un Bignami parlato, era il passaporto per qualunque frontiera, comprensibile e compreso da chiunque, senza sforzi cerebrali, senza l’aiuto da casa o della domanda di riserva. Per contrappasso aveva ricevuto il tocco, la laurea ad honorem dallo Iulm «in televisione, cinema e produzione multimediale». Non ha mai mollato l’osso, ha presentato tutto, festival, eventi, giochi, rassegne, feste patronali, sagre, convention manageriali, ha raccolto premi, targhe, riconoscimenti, telegatti, tapiri, ha praticato lo sport, ha provato con l’ippica, affascinato dal trotto, una caduta gli mise paura. Ha sciato, ha nuotato, ha vissuto. A ottantacinque anni continuava a lavorare, a recitare la parte di se stesso, accanto a Rosario Fiorello, dopo aver abbandonato chi lo aveva accolto con gli onori e i milioni, dico Mediaset, sentendosi tradito, così come si era sentito tradito dalla Rai che lo trattava come un «poverello», costringendolo a girare l’Italia alla ricerca di gettoni d’oro, per lui medesimo, alla ricerca del quiz perduto, della telecamera smarrita, di un nuovo spettacolo da presentare, cosa che sarebbe accaduta anche a Sky, prossimamente su quegli schermi satellitari, con il Riskytutto, sai che originali quelli di Murdoch, comunque la voglia, l’ennesima di esserci, di rispondere all’appello, Bongiorno Mike: «Presento!».
Ha concluso la sua carriera di uomo solo al comando scegliendo il ruolo di gregario, come spalla, come uno dei mille e più di mille concorrenti in cabina che rispondeva alle domande. Ha voluto chiudere rannicchiato, in controluce, quasi agghiacciante negli ultimi spot pubblicitari, all’ombra di Fiorello. Era riuscito negli anni gloriosi della Rai, una, non divisa, in bianco e nero, a mettere assieme gli italiani il giovedì sera, davanti al televisore, nei bar, nei cinematografi che interrompevano la proiezione dei film per trasmettere Lascia o Raddoppia. Era riuscito a spingere la televisione commerciale nella grande sfida all’informazione pubblica, fu lui a volere il Tg5 alle ore 20 contro il Tg1.
Improvvisamente, oggi tutto diventa memoria, passato prossimo, la cronaca si fa storia. Stavolta non è un quiz, non ci sono buste, non ci sono vallette, non ci sono domande, non abbiamo nemmeno i secondi per rispondere. È suonato il gong, l’orologio si è fermato.

di Tony Damascelli

fonte: ilgiornale.it