In Premier è sparito il pareggio Meglio attaccare e rischiare
 DUBLINO – La matematica non è un’opinione. Se ne sono accorti anche nel mondo del calcio. Perlomeno del calcio inglese, attualmente il più bello e più ricco del mondo; ma può darsi che prima o poi se ne accorgano anche altrove, magari perfino da noi, in Italia. Basta fare quattro conti, sostengono oggi gli inglesi, per accorgersi che il pareggio non serve a niente. Il cosiddetto “risultato utile”, poiché permette di portare a casa almeno un punticino e di evitare l’onta della sconfitta, in realtà è controproducente, quale che sia l’obiettivo di una squadra: il titolo, la qualificazione per le coppe, la salvezza. E infatti, ragionando sui numeri, il pareggio sta scomparendo dalla Premier League.

Normalmente, circa un quarto delle partite del campionato di massima serie inglese finivano con un pareggio. Eppure durante la stagione in corso, ormai giunta a un quinto del suo cammino, i pareggi sono stati soltanto il 6 per cento. “Una differenza statisticamente significativa”, dice Stefan Szymanski, capo-economista del settore sportivo alla prestigiosa Cass Business School di Londra. “Non può essere un caso”. Se non è un caso, allora, da cosa dipende? Il Financial Times, quotidiano finanziario che si occupa di sport con la stessa precisione analitica con cui si occupa di affari, ritiene che il fenomeno dipenda da due ragioni. La prima è il crescente gap ricchi-poveri nella Premier League. Le cinque squadre più ricche (Manchester United, Chelsea, Liverpool, Arsenal, Manchester City) sono talmente più forti delle altre che di solito vincono facilmente. E’ vero che Manchester United e Chelsea hanno subito imbarazzanti sconfitte, ma sia loro che il City stanno procedendo a una media di 2,5 punti a partita, più alta di quella con cui lo United ha vinto il titolo la scorsa stagione.

La ricchezza della Premier League si può quantificare anche con un’altra cifra: la lega sta segnando 2,97 gol a partita, il livello più alto da 41 anni. Le squadre sono piene di attaccanti di valore, che segnano a grappoli. Ma soldi, gap e gol non bastano da soli a spiegare perché in Inghilterra il pareggio non è più considerato un risultato utile. Ecco dunque la seconda, decisiva ragione. Si tratta, secondo il Financial Times, dell’arrivo nello staff delle squadre della Premier League di esperti di statistica. Una presenza che esiste già da molto tempo in altre leghe pro, per esempio nel baseball americano. E questi esperti hanno fatto presto a capire che il pareggio non ha più senso. Una volta, come è noto, le squadre ricevevano 1 punto ciascuna per un pareggio e 2 punti per la vittoria. Ma dal 1981 l’Inghilterra ha introdotto i 3 punti per la vittoria, e dal 1995 questa è diventata la norma ovunque. Facendo qualche conto, si scopre facilmente che una squadra che pareggia a venti minuti dalla fine ha più interesse a rischiare per cercare di vincere che a difendere il risultato. Se per esempio, considerando tre partite, riesce a trasformarne in vittoria una, non va oltre il pareggio in un’altra e perde la terza a causa dei rischi eccessivi che ha corso per cercare di vincerla, realizzerà in tutto 4 punti. Se avesse pareggiato tutti e tre gli incontri, di punti ne avrebbe fatti 3.

Dice il professor Szymanski, l’economista della Cass Business School: “E’ interesse delle squadre eliminare il pareggio”. Una conferma viene dallo scorso campionato inglese. Il Liverpool perse solo due partite, ma è finito secondo, dietro il Manchester United, perché ne pareggiò undici. Se avesse attaccato come un pazzo negli ultimi minuti di quelle undici partite, e ne avesse convertite cinque in vittorie, pareggiandone una e perdendone cinque per gol subiti in contropiede, avrebbe vinto la Premier League. Rafel Benitez, l’allenatore del Liverpool, sembra avere imparato la lezione. In agosto, stava pareggiando una delle prime gare di campionato, in trasferta, contro il Bolton Wanderers. A venti minuti dalla fine, invece di accontentarsi del risultato di parità, il coach ha tolto un difensore, Mascherano, e ha messo dentro un attaccante, Voronin. Gli è andata bene e ha vinto 3-2. Impareranno anche le squadre italiane? Chissà se c’è un esperto di statistica, nello staff di Mourinho.