Ascanio Celestini

Si è conclusa la seconda edizione dell’Ama Festival il festival della Cooperativa Ama – Aquilone che ogni anno, complice il mezzo culturale del festival riflette ed elabora una tematica di “uso comune” e dunque una questione che è argomento di confronto interno fra operatori, ospiti e tutti quanti vivono all’interno della Cooperativa.

Radio Incredibile è stata media partner ed ha raccolto una bellissima serie d’interviste che culmina con l’intervista ad Ascanio Celestini.

Per questa sua seconda edizione l’Ama – Aquilone ha presentato un’indagine sulla figura dell’Uomo Nero scomposta, analizzata e riletta, per mezzo della teoria dei sei gradi di separazione diStanley Milgram. Attraverso interventi e intervenuti il 4 e il 5 luglio il pubblico ha percorso la strada “lastricata di mattoni gialli” alla scoperta dell’ultimo grado di separazione e de “L’uomo Nero sono io”.

Gabriele Nissim. Molto spesso nella nostra società tendiamo a pubblicizzare soprattutto il male del non parlando mai del bene. La categoria del bene è una categoria che non fa notizia, dobbiamo invece valorizzare tutti questi esempi di valori morali.

Peppe dell’Acqua. La ragione si appropria della follia, e la follia diventa malattia mentale. Ed è da qui che un uomo, che nero non era, lo diventa. Basaglia diceva che dovremmo essere capaci di accogliere dentro di noi la follia e che un’organizzazione sociale è tale quando è capace di rapportarsi con l’altro, quando riesce a vedere ed accettare che dentro questa organizzazione, coesistano insieme la ragione come la sragione, la follia come la normalità. Da un certo momento in avanti noi abbiamo costruito milioni di oggetti paurosi, di oggetti pericolosi.

Marco Pesatori. Ognuno ha il suo essere, il se stesso assoluto, come dicono in Oriente. Nella foresta ci sono alberi alti e alberi bassi. Rami lunghissimi e rami cortissimi. Ma questa armonia è meravigliosa. L’alto è bello come il basso. Il lungo è bello come il corto. L’importante è che il corto non pretenda, come quello che è alto 1.60, di diventare campione di salto in alto.

Moni Ovadia. Bertolt Brecht con un moto spontaneo aveva manifestato l’uomo nero che era in se stesso, e con la presa di distanza, lo aveva riconosciuto quale uomo nero. L’uomo nero che volle impedire all’umanità la costruzione di relazioni solidali, che volle impedire l’accoglienza.
Quello che evoca la figura del male è il rifiuto dell’altro. Questa è la questione centrale della vita: l’altro. E noi lo manifestiamo ancora a distanza di millenni, malgrado la questione dell’altro sia affrontata in modo drammatico all’origine della presa di coscienza dell’uomo di se stesso. L’altro incarna il male, il pericolo, la minaccia, l’insicurezza. La figura dell’uomo nero ha avuto una sua realtà non simbolica, non metaforica. L’uomo nero è lo zingaro. La prima cosa che noi sentiamo dire dei rom è che non sono come noi, e a me viene subito da dire grazie a Dio, perché noi facciamo talmente schifo che non si capisce perché dovrebbero essere come noi. L’uomo nero è la figura del simbolicamente altro. Nero è il colore dell’alterità che in quanto tale è brutta, sinistra e inquietante.

Aldo Nove. Non esiste più la paura. Non esiste più l’uomo nero, perché dal momento che tu decidi e senti di amare tutto, tutto è davvero tutto. La luce è tutta la luce del mondo. E’ tutto il mondo. Nella guerra della luce e la guerra del buio ciascuno delle due parti si ritiene luce, funziona sempre cosi. In qualunque gioco, prendendo d’esempio l’uomo nero, la cosa funziona quando l’uomo nero è l’altro, io sono l’uomo bianco e l’altro è l’uomo nero. Ma per l’altro sono io l’uomo nero, il male. In questo gioco di opposizione c’è il male, in quanto accettazione del conflitto”

Mons. Vinicio Albanesi. Il senso della vita è questo sogno di essere felici, di essere creativi, di stare bene insieme, di essere un popolo, di fare figli, questa prospettiva positiva.

Claudio Widmann. Nel 1600, tra i grandi pensatori, cominciò a serpeggiare l’idea che l’uomo nero non fosse l’altro, ma che l’uomo nero fossimo proprio noi, l’uomo in genere. Il filosofo Hobbes diceva che l’uomo malvagio, che si comporta come una belva nei confronti dell’altro, è l’uomo in genere. Secondo lui tutta l’umanità è impegnata in una guerra di tutti contro tutti. Lui non conosceva tutta la scorrettezza che conosciamo noi oggi e già parlava di questa lotta di tutti contro tutti che è caratteristica dell’uomo. Con questo intendeva dire che dobbiamo essere particolarmente vigili perché se l’uomo nero siamo noi vuol dire che soltanto noi abbiamo la responsabilità dell’uomo nero, di noi stessi. A partire dal ‘600 c’è stato questo processo interessante di normalizzazione dell’uomo nero. Se l’uomo nero è comune allora è comune che l’uomo nero, di ogni giorno, si comporti in maniera malvagia, innescando un processo di rivendicazione al diritto di essere uomo nero.

Il sunto stringato dalla parola scritta, è un racconto poetico che ha coinvolto pubblico e ospiti. Dalle persone che hanno compiuto il tragitto, oltre la sbarra, dal fuori al dentro superando il pregiudizio, passando per i nostri ragazze e ragazze che hanno manipolano la bellezza delle parole altrui, trasformandola in esperienza. Sino alle parole altrui, che si sono contaminate di noi, dei nostri luoghi, delle nostre fragilità, delle incertezze e dell’Uomo nero che per due giorni ci ha seguito come un’ombra, per poi accompagnarci alla luce della conoscenza, ricordandoci nel cammino che l’uomo nero siamo tutti e perciò nessuno. Grazie all’itinerario di viaggio, l’uomo nero è stato trasformato o ridotto esclusivamente allo spauracchio della nostra infanzia, al babau che ci aspetta nascosto nell’armadio, all’uomo sabbiolino di Hoffman e niente altro più. Siamo cresciuti e insieme, abbandonate le remore della superstizione, l’Uomo nero fa più paura.