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ROMA – “Ho trentadue anni, quasi trentatré. Da quindici corro su e giù per i campi del calcio che conta. Molta A, un po’ di B, mai una ribalta davvero importante. Ancora oggi guadagno seicentomila euro l’anno. “E’ bravo”, dicevano di me. “Basta che non si perda per strada”. Io per strada mi sono perso. Miliardario a venticinque anni. Perché avrei dovuto fare di più? Mi sono accontentato. Sono un Gattuso senza corsa, un Pirlo senza piedi, un Ambrosini senza grinta. Sono un numero 12, uno di quei portieri di riserva che non giocano mai. Beckham, in fondo, non è tanto diverso da me. Leggete il mio diario per credere”. Inizia così la vita segreta di chi ha un numero ma non un nome. “Numero 12” ha scelto di chiamarsi. E non perché sia un portiere di riserva, ma perché è “uno di quelli che tutti sanno che c’è ma nessuno nota, sempre pronto ad entrare ma mai decisivo”.

Racconti del mondo del calcio da dentro, affidati a Rivista pop, il blog del collettivo Mauro Repetto (il biondino degli 883 che lasciò il gruppo nel pieno del successo). Storie di pallone, veline, coca, depressione, Rolex, Cayenne. Dubbi, molti. E idee. Quelle che i calciatori sembrano non avere o semplicemente non mostrano.

Chi sia “Numero 12” non è dato saperlo. Tantomento se sia realmente un calciatore o una brillante operazione di marketing di quelli del Repetto. A domanda diretta (inviata via mail) la riposta è ferma: “Per me mantenere l’anonimato è importante. Tutto quello che ho da dire lo scrivo ogni lunedì nel sito”. Assoluto riserbo anche da parte del collettivo: “Lo conosciamo da tempo e gli abbiamo chiesto di scrivere per noi. Riscontri? Buoni. Due case editrici sono interessate alla storia. La sua identità? L’unica cosa che possiamo dire è che nessuno si è avvicinato al suo nome”.

E allora non resta che partire dal sito. Da quelle righe che parlano di un padre ferroviere, dello shopping milanese post partita, della scelta, buona per ogni questione, di “starsene buono e non rompere”. Accontendandosi dello stipendio. Del macchinone e dell’orologio che è uno status. Della velina con cui è fidanzato, della coca e della depressione. Perché quella non fa distinzioni, tra calciatori e spettatori. E ancora della vacanza a Miami e del sesso a pagamento che tanti giocatori fanno per non avere complicazioni, “per poter dire arrivederci e grazie”. E di Beckham che tutto sembra meno un numero 12 e invece lo è. Perché nonostante il glamour, i tatuaggi, la pubblictà in mutande e la moglie cantante, “è uno che sa giocare e non rompe i coglioni”.

Questo e altro racconta e promette di raccontare “Numero 12”. Parla dell’oggi, ma anche del domani. Quando “la pacchia sarà finita”. Oggi che gli interrogativi su che cosa sarai dopo aver smesso con il calcio ti tormentano. Anche perché una risposta già te la sei data: “Uno dei tanti. Un Numero 12”. Senza esagerare.