Si spegne un'icona di Times Square Virgin liquida
NEW YORK – Conto alla rovescia per la chiusura del negozio di musica più grande al mondo. Il celebre Virgin Megastore di Times Square (New York City), punto di riferimento per appassionati, collezionisti e turisti, spegnerà i potenti riflettori a strisce rosso shocking entro la prima settimana di aprile. La crisi economica morde perfino i luoghi-simbolo dell’America pop e stronca una delle più longeve catene merceologiche legate al mondo della musica, del cinema e del videogame.

Nel 2007 erano in piedi 11 magazzini Virgin sparsi in tutto il territorio statunitense; per la fine di maggio 2009, oltreoceano, se ne conteranno appena tre. La musica sta per finire anche in Orlando e Denver, dove il colosso fondato nel 1971 da Sir Richard Branson teneva duro e, oggi, non può che farsi da parte.

Il tramonto del negozio più frequentato di Manhattan è però qualcosa di profetico, a cui i newyorchesi non erano preparati. L’insegna di Times Square è considerata una bandiera immortale quanto Broadway, dicono gli ultimi tre commessi del negozio che, insieme ai 200 impiegati e colleghi della Grande Mela, già a casa, dovranno abbandonare il posto entro la prossima settimana, deponendo in armadietto le mitiche magliette rosse e bianche con lo slogan del negozio. In totale 1.000 membri dello staff perderanno il lavoro, la maggior parte sono universitari che lavorano part-time.

Quando lo scorso gennaio, Related Companies annunciò la fine di Virgin Megastore in America, nessuno si sarebbe aspettato di veder crollare uno dopo l’altro i templi della musica: il preludio è stato Virgin Megastore di Arden Fair Mall (Sacramento), chiuso nel 2007 e trasformato in Urban Outfitters, un negozio d’abbigliamento maschile. Poi sono seguiti altri “testamenti immobiliari”, come quello di Sunset Strip (Los Angeles), il primo Virgin d’America nato nel 1992 a Hollywood e chiuso nel 2008. Il 25 febbraio un nuovo clamoroso annuncio: anche San Francisco ed Union Square a New York saranno orfani del Virgin Megastore tra aprile e maggio 2009.
Gli economisti, scrive il quotidiano New York Times, non si spiegano tanta foga di chiudere, dato che il volume di vendite del magazzino resta tra i più alti del settore. Ad avere paura sono piuttosto le società immobiliari Related Companies e Vornado Reality Trust, subentrate all’azienda Virgin Entertainment due anni fa nel possesso della catena. Così, ecco già pronto il dopo-Virgin, nella speranza di ricavare un canone di locazione più appetibile rispetto a quello offerto da Virgin (160 dollari al metro quadro contro gli oltre 2.000 dollari, in termini di valore di mercato).
Conclusi i lavori di restauro, fissati da 9 a 12 mesi, lo stabile di Times Square ospiterà un negozio di abbigliamento sulla scia di H&M, dal nome “Forever 21”, un locale trendy di Los Angeles indubbiamente rivolto a un pubblico giovane, interessato alla moda, e che a New York vedrà triplicata la sua casa-base.

Non sono bastate le vantaggiose offerte di Virgin per fronteggiare la crisi del settore musicale e l’avanzamento della pirateria digitale, i sei negozi sopravvissuti negli Stati Uniti hanno guadagnato 170 milioni di dollari l’anno, una scoraggiante perdita rispetto i 230 milioni entrati in cassa nel 2002.
Gli ultimi giorni di Virgin a Times Square sono vissuti con amarezza anche dai “big” dello spettacolo, ospiti di show e impegnati in sessioni di firme frenetiche sulle copie dei loro ultimi successi. Adesso dovranno rivolgersi altrove, così come le code chilometriche di fan, solitamente accalcati nella parte est di Broadway, vicino alla 46ma Strada, per entrare con prenotazione al Virgin Megastore in occasione di eventi speciali. In queste ore, merce, arredi, feticci, statue, biancheria, oltre che cd e dvd, sono in saldo tra cartelli di solidarietà e pannelli tipicamente americani, come “Everything Must Go”.