In occasione della giornata mondiale contro la Violenza di Genere vi presentiamo una ad una le storie “Ti Racconto come ne sono Uscita” il progetto realizzato da Radio Incredibile nell’ambito di C’entro anche io, la progettualità di Coop Alleanza 3.0.

Il progetto ha visto la preziosissima e fondamentale collaborazione di On The Road, Free Woman e Casa delle Donne.

La prima storia è quella di Amal

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Lei si chiama Amal. Amal è un nome marocchino che in italiano vuol dire speranza. Amal mi diceva sempre “Il mio nome è stata una delle mie condanne. Mia madre ha voluto darmi questa enorme responsabilità: io dovevo essere il cambiamento che lei non era riuscita a pretendere. Io ero la sua speranza.”

Invece Amal a 16 anni ha conosciuto Yassine, che di anni ne aveva 25. Lui già viveva in Italia e il progetto sin da subito era che si sarebbero sposati e poi Amal lo avrebbe raggiunto in Italia. Andò esattamente così. All’alba dei suoi diciotto anni, lui andò dal padre di Amal a chiedere il permesso di sposarlo e poco dopo si siamo ricongiunti in Italia. Dice Amal: “Dovevo capirlo già dal matrimonio che non sarebbe stato affatto facile come lo avevo sempre immaginato: nessuna festa, nessuna felicità. Come se giurare amore e fedeltà fosse un atto dovuto, scontato. Nulla di che.”

Amal, il suo matrimonio lo vedeva come il giorno più bello della sua vita.

Ormai era sua, Amal era diventata di Yassine. E non serviva dimostrare a suo padre di essere un brav’uomo. Vivevano nel sud Italia, insieme a tutta la famiglia di Yassine.

Amal mi racconta che poteva solo pulire la casa, cucinare, servirlo sessualmente. Non potevo avere amiche, le uniche persone con cui poteva parlare erano la sorella e la madre, di suo marito! Tutto il resto del mondo era precluso. Amal credeva..sapeva che tutto questo era giusto, aveva il dovere di accudirlo e servirlo, mostrargli rispetto e gratitudine. Doveva essere la sua schiva, la sua cosa.

Sua madre, che l’aveva chiamata speranza, le diceva che non potevo più tornare indietro. Lui era colui che l’aveva scelta.

Quando è rimasta incinta Amal sperava che lui sarebbe cambiato. Invece è stato peggio.  Amal mi dice: “credo che lui vedesse me e la mia pancia come degli ostacoli alla sua libertà. Ma era stato lui a volermi sposare. Lui era quello che aveva insistentemente depositato il suo seme dentro di me.”

Amal continuava a resistere, a stare buono e a non ribellarsi, neanche quando lui la buttava fuori di casa dopo averla picchiata.

Una volta, con la bimba piccola, l ha costretta ad andare con lui a rubare del rame in una specie di discarica. Amal mi dice: “Io avevo capito che c’era qualcosa di sbagliato in quello che facevamo, ho cercato di dissuaderlo. Lui ha preso una lunga asta di ferro ed ha iniziato a colpirmi sulla schiena. Mia figlia piangeva e io non potevo fare niente.”

 

Amal è forte, ma dopo quattro anni in Italia, non aveva ancora imparato l’italiano. No. La risposta era no. Un giorno le ha permesso di andare al mercato con sua madre. Fu la prima e l’ultima volta. Era impensabile per lui che qualcun altro potesse anche solo vederla.

Il velo no, questo non glielo imponeva. Diceva che era da ignoranti.

Pulire. Cucinare. Badare alla bimba. Aprire le gambe. Chiuderle. Pulire. Cucinare. Piangere.

Questa era la giornata di Amal.

 

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata quando lui ha portato un’altra donna dentro casa. Amal mi dice: “Mi sentivo trasparente, che non esistevo. Ho capito che sarei morta se fossi rimasta lì.”

Con la scusa di voler andare a trovare i suoi genitori, Amal riesce a tornare in Marocco con l’intenzione di non tornare mai più da lui. Suo padre le disse che questo non era possibile, che Amal e sua figlia—sua nipote, dovevano tornare a casa, da Yassin.

“Mia sorella è stata l’unica ad aiutarmi”- mi racconta Amal con la voce strozzata dal pianto. “Pagò il mio biglietto aereo per l’Italia, ma questa volta ero diretta verso la libertà.”

Un amico di sua sorella di era offerto di ospitarle a casa sua e poi la mise anche in contatto col Centro Antiviolenza, quel giorno che io l’ho incontrata per la prima volta.. non lo dimenitcherò mai.

L’ostacolo iniziale è stata proprio la lingua: come facevo a parlare con Amal, non capiva una parola. Come facevo a fare raccontare cosa era successo? cosa aveva passata? Cosa mi dicevano i suoi occhi neri? Ho organizzato un incontro con una mediatrice, tramite la quale lei riuscì a raccontare tutto. Era la prima volta che qualcuno l’ascoltava davvero. E per la prima volta qualcuno le diceva che era molto grave quello che avevo subito. Alla fine mi disse “Tutto ciò che mi portavo dentro da anni, ora l’ho tirato fuori. E’ stato un sollievo già solo questo.”

Le spiegai che era necessario contattare i servizi sociali del suo comune di residenza, sua figlia aveva appena due anni ed era necessario avvertirli della situazione in cui si trovavamo.

 

L’amico di sua sorella intanto dava i primi segni di insofferenza nell’averle in casa, così tramite l‘Associazione On the road riuscii ad inserirle temporaneamente in una casa di accoglienza.

Intanto Amal imparava qualche parola in più di italiano. Tutte nella casa d’accoglienza di On the Road riconoscevano una grande intelligenza ad Amal che è anche una cuoca fantastica.

 

Che emozione poter uscire a fare una passeggiata, senza avere il terrore di essere minacciata, picchiata, violentata, umiliata. Ha iniziato già da lì a vivere normalmente, ad assaporare la sensazione del fare cose semplici senza doverne implorare il permesso.

Amal ha deciso, non senza difficoltà di sporgere denuncia contro suo marito Yassin. Io e l’avvocata del Centro le abbiamo spiegato cosa voleva dire, cosa sarebbe accaduto dopo, che non sarebbe stato un percorso semplice. Per fortuna Amal ha capito, abbiamo rispettato i suoi tempi e le sue decisioni senza costringerla a fare niente contro la sua volontà. “Ero certa di doverlo fare, lo dovevo a mia figlia. Immaginavo il giorno in cui le avrei raccontato come ne sono uscita e la denuncia avrebbe dovuto farle comprendere quanto sbagliato, quanto grave e quanto illegale era quello che suo padre mi aveva fatto. Le avrei detto che grazie a quel pezzo di carta, lei avrebbe avuto il diritto di crescere libera.”

 

Poco dopo Amal è stata trasferita in una Casa Rifugio, dove è rimasta con sua figlia per alcuni mesi. Lì ha passato il periodo più sereno: vivere finalmente i suoi sentimenti e i suoi umori, sentirsi totalmente serena nell’esprimerli. Ha iniziata a conoscersi e a scoprirsi piena di risorse. Vedeva sua figlia rifiorire, dopo un primo periodo in cui anche lei probabilmente doveva sfogarsi di tutta la negatività che aveva assorbito.

Amal Ora vivi con la mia piccola nel nord Italia. Ho trovato casa con alcune studentesse che l’aiutano molto, sia affettivamente che materialmente con sua figlia. Ha trovato lavoro, non guadagna molto, sua sorella ancora deve mandarle soldi per l’affitto.

A me, manca molto ma non glielo posso dire, perché sento che Amal ce la sto facendo.

Amal quando mi telefona mi dice “So che sono riuscita a riscattarmi, a diventare Amal. Io sono diventata speranza.“